«Un’azienda… una ditta…». Ai pusher di Bitonto stipendi fino a 1.500 euro

«Gli adepti venivano remunerati per il loro lavoro con somme settimanali paragonabili a stipendi», ha spiegato l'Antimafia

lunedì 21 febbraio 2022 13.22
Il clan Conte era «un'azienda… una ditta…» secondo le parole di un collaboratore di giustizia il quale ha rivelato come il capo, in occasione delle festività, da vero manager, avrebbe elargito denaro, bottiglie e panettoni. I pusher ricevevano stipendi fino a 1.500 euro, mentre gli introiti giornalieri arrivavano a 30mila euro.

Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, sono state avviate nel settembre 2017, quando a Bitonto si verificarono numerosi scontri armati tra i gruppi Conte e Cipriano, per il controllo delle piazze di spaccio di sostanze stupefacenti ed in particolare per il monopolio nella zona del "Ponte".

Gli approfondimenti investigativi che fecero luce sulla morte di Anna Rosa Tarantino, innocente vittima di mafia, attinta da colpi d'arma da fuoco in occasione di uno scontro a fuoco causato dal controllo del territorio della città di Bitonto, dimostrarono «l'esistenza di una vera e propria guerra - hanno detto gli investigatori - finalizzata al controllo militare dei luoghi di cessione delle sostanze stupefacenti, insistenti, in particolare, nel centro storico, esattamente nella zona prossima a via Arco di Cristo, ove, a cura degli arrestati, era stata allestita una base logistica, dotata di sistemi di videosorveglianza, poi smantellata dagli investigatori».

Nell'occasione, oltre a far luce sui responsabili degli specifici e violenti episodi delittuosi, si è dato corso ad un'indagine che, secondo l'impostazione accusatoria accolta dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Francesco Mattiace, fatta salva la valutazione nelle fasi successive con il contributo della difesa, ha accertato come, «nella città di Bitonto, fosse presente uno dei più organizzati gruppi di spaccio della Regione».

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Le indagini, arricchite dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, si sono avvalse di numerosi riscontri effettuati sul territorio, con sequestri di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, armi e munizionamenti e arresti in flagranza. L'organizzazione armata era strutturata al pari di una vera e propria azienda, in cui i vari adepti venivano remunerati per il loro lavoro con somme settimanali paragonabili a veri e propri "stipendi".

E così, nelle piazze di spaccio, dove si lavorava in turni articolati nell'arco delle 24 ore, per ogni settimana spettavano: L'organizzazione annoverava anche i «custodi della droga», i «custodi del denaro», gli «steccatori», i «corrieri» e ancora i referenti per la contabilità (rinvenuta e sequestrata dagli investigatori). «Ognuno percepiva un suo stipendio tanto che, ogni venerdì, nella sede principale dell'organizzazione in via Pertini, protetta da porte blindate - hanno spiegato gli inquirenti - il capo in persona provvedeva a consegnare la retribuzione per il lavoro prestato».

«Un'azienda… una ditta», così è stata definita l'organizzazione da parte di un collaboratore di giustizia. Quest'ultimo ha fra l'altro, rivelato che il capo, in occasione delle festività, da vero manager, elargiva gratifiche in denaro, bottiglie e panettoni. Ma imponeva, al contempo, rigide regole: orari di rientro a casa, responsabilità diretta del materiale affidato, fosse droga o armi, rigida compartimentazione delle informazioni all'interno del gruppo (come i luoghi di occultamento della droga e delle armi), per garantirne l'impenetrabilità.

Dai gravi indizi raccolti, emerge altresì che, grazie ad una accorta strategia commerciale - che prevedeva, rispetto alla "concorrenza", migliore qualità e quantità - l'organizzazione avrebbe garantito introiti «dai 20 ai 30 mila euro al giorno...», riuscendo a smerciare, mensilmente, circa 30, al massimo 40 chilogrammi di stupefacenti tra cocaina, hashish e marijuana, ma anche amnesia («Un'erba che ti fulmina il cervello…").

La Polizia di Stato è anche riuscita ad individuare e smantellare una fitta rete di videosorveglianza abusivamente installata nelle pubbliche vie, nei pressi delle due roccaforti dello spaccio, rete che, attraverso il monitoraggio delle principali vie di accesso, permetteva di controllare e prevenire eventuali interventi delle forze dell'ordine o di gruppi avversi, e di vigilare sull'operato degli adepti e quindi sull'andamento "dell'attività aziendale".

Da quanto emerso dal compendio indiziario, l'organizzazione criminale Conte di Bitonto si riforniva continuativamente da importanti grossisti di Bari (quartieri Madonella e Japigia) e Terlizzi.