Estorsioni ai cantieri edili di Bari, 20 anni di carcere al bitontino Sicolo
Confermato in Appello il verdetto a carico dell'imprenditore soprannominato «Pagnotta». Assolto Tommy Parisi, figlio del boss Savino.
domenica 16 novembre 2025
13.52
La seconda sezione penale della Corte di Appello di Bari ha confermato la condanna di primo grado per Emanuele Sicolo (20 anni di reclusione per l'imprenditore pregiudicato di Bitonto soprannominato «Pagnotta») e ridotto a 8 anni e 6 mesi di reclusione quella per Alessandro Sicolo, condannato in primo grado a 10 anni.
Ad oltre dieci anni dai fatti, i giudici hanno assolto, «per non aver commesso il fatto», Tommaso Parisi, figlio del boss del quartiere Japigia, Savino, assistito dagli avvocati Raffaele Quarta e Nicola Lerario e condannato nel dicembre di tre anni prima in primo grado a 8 anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per il reato di associazione mafiosa. Confermata, inoltre, la condanna di primo grado inflitta nei confronti di Mario Di Sisto (10 anni e 6 mesi di reclusione).
Rispetto alle undici condanne inflitte in primo grado, sono cadute le accuse per Giovanni Lizzi, difeso da Quarta e da Giuseppe Mari, che in primo grado era stato condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione, mentre per altri sei imputati è intervenuta la prescrizione. Il processo riguarda l'inchiesta denominata "Do ut des" e relativo a decine di presunti casi di estorsione a cantieri edili che si sarebbero verificati, per l'accusa, imponendo guardianie e carichi di merci da fornitori amici.
Stando alla ricostruzione accusatoria, condivisa in grande parte dai giudici di primo grado, c'era un «sistema cantieri» messo a punto dal clan Parisi che sarebbe consistito nel porre «a un capillare controllo le imprese edili che operavano nel rione Japigia» con l'assunzione di guardiani che fungevano da «occhio del clan».
Ad oltre dieci anni dai fatti, i giudici hanno assolto, «per non aver commesso il fatto», Tommaso Parisi, figlio del boss del quartiere Japigia, Savino, assistito dagli avvocati Raffaele Quarta e Nicola Lerario e condannato nel dicembre di tre anni prima in primo grado a 8 anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per il reato di associazione mafiosa. Confermata, inoltre, la condanna di primo grado inflitta nei confronti di Mario Di Sisto (10 anni e 6 mesi di reclusione).
Rispetto alle undici condanne inflitte in primo grado, sono cadute le accuse per Giovanni Lizzi, difeso da Quarta e da Giuseppe Mari, che in primo grado era stato condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione, mentre per altri sei imputati è intervenuta la prescrizione. Il processo riguarda l'inchiesta denominata "Do ut des" e relativo a decine di presunti casi di estorsione a cantieri edili che si sarebbero verificati, per l'accusa, imponendo guardianie e carichi di merci da fornitori amici.
Stando alla ricostruzione accusatoria, condivisa in grande parte dai giudici di primo grado, c'era un «sistema cantieri» messo a punto dal clan Parisi che sarebbe consistito nel porre «a un capillare controllo le imprese edili che operavano nel rione Japigia» con l'assunzione di guardiani che fungevano da «occhio del clan».